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REVIEW   

Minerva Endocrinologica 2008 September;33(3):213-28

Copyright © 2008 EDIZIONI MINERVA MEDICA

lingua: Inglese

Tireotossicosi indotta da amiodarone: una revisione

Piga M. 1, Serra A. 1, Boi F. 2, Tanda M. L. 3, Martino E. 4, Mariotti S. 2

1 Department of Nuclear Medicine and Endocrinology, University Policlinic, University of Cagliari, Cagliari, Italy 2 Department of Medical Sciences, “M. Aresu” University of Cagliari, University of Cagliari, Cagliari, Italy 3 Department of Clinical Medicine, Section of Endocrinology, University of Insubria, Varese and Como, Italy 4 Department of Endocrinology and Metabolism, University of Pisa, Pisa, Italy


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L’amiodarone (AM), un potente farmaco antiaritmico di classe III, è un composto iodato con una similarità strutturale agli ormoni tiroidei tri-iodotironina (T3) e tiroxina (T4). Alle dosi comunemente utilizzate, l’AM causa un apporto di iodio superiore di 50-100 volte rispetto all’apporto giornaliero ottimale, che può essere responsabile di uno spettro di effetti sulla funzione tiroidea. Spesso, tali effetti endocrinologici controbilanciano in negativo i benefici del farmaco sul cuore. Sebbene la maggior parte dei pazienti in terapia cronica con AM restino eutiroidei, una proporzione consistente può sviluppare la tireotossicosi (AM-induced thyrotoxicosis, AIT) o ipotiroidismo. La AIT è più comune nelle aree con deficit di iodio ed è attualmente suddivisa in due forme clinico-patologiche (AIT I e AIT II). La AIT I si sviluppa nei pazienti con coesistenti tireopatie ed è causata da un incremento dell’autonomia funzionale tiroidea in seguito al carico di iodio. La AIT II si verifica in pazienti senza coesistenti tireopatie ed è verosimilmente causata da una tiroidite distruttiva indotta dal farmaco. Possono essere inoltre osservate forme miste o indeterminate, che comprendono aspetti sia della AIT I che della AIT II. La diagnosi differenziale tra AIT I e II, che è importante per la scelta della terapia appropriata, è attualmente basata sul grado di captazione del radioiodio, che può essere normale, basso o elevato nella AIT I, ma comunque misurabile. Al contrario, la captazione è molto bassa o non determinabile nella AIT II. La valutazione mediante color-flow Doppler (CFDS) dimostra una vascolarizzazione normale o incrementata nella AIT I e una vascolarizzazione assente nella AIT II. Recentemente, studi condotti presso la Medicina Nucleare e l’Endocri-nologia dell’Università di Cagliari (Italia) hanno indicato che la scintigrafia tiroidea con sestamibi possa rappresentare il migliore test per differenziare la AIT I (aumentata ritenzione di MIBI) dalla AIT II (captazione non significativa). Il trattamento dell’AIT dipende dalla sua eziologia. In genere la AIT risponde al trattamento combinato con tionamidi e perclorato di potassio. La AIT II spesso risponde ai glucocorticoidi, mentre le forme indeterminate possono richiedere entrambi gli approcci terapeutici. Nei pazienti con AIT I, il trattamento definitivo dell’ipertiroidismo si ottiene con la somministrazione di 131I. Inizialmente esso non è possibile a causa della bassa captazione di radioiodio e/o per il rischio di esacerbazione della tireotossicosi, mentre è consigliabile dopo normalizzazione del sovraccarico di iodio. Per il controllo di forme severe di AIT, sono state inoltre proposte terapie aggiuntive a base di carbonato di litio, brevi cicli di trattamento con acido iopanoico e la plasmaferesi. In casi resistenti alla terapia medica e/o in pazienti con cardiopatia severa che non possono interrompere l’AM o che richiedono una rapida reintroduzione dell’AM, può essere proposta la tiroidectomia totale (possibilmente con tecnica mini-invasiva video-assistita) dopo correzione rapida della tireotossicosi con una combinazione di tionamidi, perclorato di potassio, corticosteroidi e un trattamento di breve durata con acido iopanoico.

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