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Europa Medicophysica 2001 September;37(3):153-9
Copyright © 2001 EDIZIONI MINERVA MEDICA
lingua: Inglese
Ictus, comorbidity and outcome: the role of the indwelling bladder catheter
Iona L. G., Varnier A., Bianchi L., Polentarutti S., Deotto E.
From the U. O. Riabilitazione, Azienda Ospedaliera «Santa Maria della Misericordia», Udine
Il paziente con ictus in fase acuta rappresenta un grosso impegno per le strutture sanitarie.
Va da sé che se un trattamento riabilitativo intensivo può essere estremamente utile al fine di offrire le migliori opportunità di recupero per un outcome più favorevole, la limitata disponibilità di risorse in tal senso ha da molto tempo richiamato l’attenzione sulla ricerca di criteri prognostici a livello funzionale che consentano di selezionare i soggetti che potenzialmente trarranno maggior giovamento dal trattamento.
Sono stati valorizzati svariati fattori: i più rilevanti e più frequentemente considerati sono tuttavia l’età, la sede e la gravità della lesione, la presenza di comorbilità, la compromissione delle funzioni corticali superiori, la presenza d’incontinenza urinaria ed i livelli di albuminemia.
Sviluppando alcuni risultati di uno studio precedente abbiamo voluto considerare una casistica molto più ampia per confermare alcune indicazioni emerse e per approfondire il contributo che la presenza di alcune comorbilità più rilevanti può portare dal punto di vista prognostico.
Abbiamo preso in esame 117 pazienti consecutivi ricoverati presso l’UO di Riabilitazione dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine nel periodo giugno 1999 maggio 2000, con diagnosi di emiparesi o emiplegia in stroke.
Il nostro reparto accoglie unicamente i pazienti più impegnativi per la gravità della patologia principale, per la scarsa stabilità del quadro clinico e/o per la rilevanza delle patologie associate.
Il trasferimento avviene in media entro le prime tre settimane dall’evento acuto.
L’età media era di 76,2 anni ± 9,7 con mediana di 78,2, andando dai 40,1 ai 97,2 anni. Si trattava di 59 femmine e 58 maschi.
Entro 24 ore dal trasferimento tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un’accurata valutazione clinica, agli esami ematochimici di routine, fra cui emocromo, glicemia, proteinemia, albuminemia, nonché ad una valutazione funzionale che comprende l’uso di Mini Mental State (MMS) evaluation, Barthel Index (BI) e Functional Independence Measure (FIM).
Poiché l’importanza dei fenomeni depressivi associati viene sempre più spesso e giustamente sottolineata ai fini dell’outcome riabilitativo, il tono dell’umore è stato valutato mediante la Face Scale (FS).
Tutte le valutazioni funzionali sono state ripetute al momento della dimissione.
L’ictus era di natura ischemica in 99 casi, pari all’84,6% del totale. Al momento del trasferimento presso il nostro reparto il BI era in media 10±15, con una mediana di 5.
La FIM, per quanto riguarda gli item motori era in media di 21±11, mediana 17. Gli item relativi alle funzioni corticali superiori mostravano una media di 18±8, mediana 17. Il valore globale era in media 38±17, con mediana 34.
Il MMS era in media di 21±5, con mediana 21.
La FS mostrava un valore medio di 10±5, con mediana 10.
Un paziente veniva nutrito tramite PEG, mentre in altri 20 (17%) la nutrizione avveniva tramite sondino naso-gastrico. Un paziente era portatore di tracheostomia.
Ottanta pazienti (68,4%) erano portatori di catetere uretrale a permanenza. Centosette (91,5%) portavano il pannolone per problemi di incontinenza urinaria e/o fecale, intesa anche nella loro accezione situazionale.
Molto frequenti risultavano le comorbilità.
Nel 69,2% era presente ipertensione arteriosa di vario grado. Il 39,3% evidenziava fibrillazione atriale. Il 23,9% lamentava sintomatologia anginosa. In 2 casi (1,7%) si è presentato infarto del miocardio. In 9 casi (7,7%) era presente una valvulopatia. Nel 53% dei casi era presente un certo grado di insufficienza cardiaca. Nel 79,5% erano presenti anomalie elettrocardiografiche.
Il 27,4% dei casi mostrava patologie polmonari, il 16,2% un certo grado di insufficienza respiratoria cronica; il 4% deperimento organico.
Nel 32,5% dei casi era presente diabete mellito, nel 30,8% una disionia. Il 9,4% mostrava un certo grado di sofferenza epatica. Si aveva un problema di infezioni delle basse vie urinarie nel 42,7%. Un’anemizzazione era riscontrabile nel 31,6% dei casi. Quadri di infezione sistemica erano presenti nel 17,1%, mentre nel 9,4% era stata posta diagnosi di neoplasia. Problemi di tipo dentario di una qualche rilevanza clinica erano documentabili nel 14,5% dei pazienti.
La degenza presso il nostro reparto era in media di 36,1 giorni ± 22,5, con mediana 32.
Al momento della dimissione il BI era in media 28±26, con mediana 20. La FS mostrava un valore mediano di 9,5, oscillando fra 1 e 20.
La FIM per gli item motori passava ad un valore medio di 33±19 (mediana 27), per i non motori 21±7 (mediana 22), mentre i valori totali medi erano di 54±24.
Il MMS medio non presentava variazioni di rilievo, attestandosi su 21±6, mentre la mediana saliva a 23.
Il paziente portatore di PEG veniva ancora alimentato per tale via, mentre solo 3 venivano ancora nutriti tramite sondino naso-gastrico. Nessuno era tracheostomizzato.
Solamente 12 pazienti erano ancora portatori di catetere vescicale a permanenza, mentre l’uso del pannolone era ancora necessario in 68 casi (58,1 contro 91,5%).
Il livello dell’albuminemia mostrava una correlazione positiva con il MMS, il BI e le sottoscale sia motorie che non motorie della FIM, mentre non emergevano relazioni significative con il punteggio della FS. Al momento della dimissione permaneva solo una correlazione positiva significativa tra albuminemia all’ingresso e sottoscala non motoria della FIM.
Il numero delle comorbilità risultava correlato positivamente in modo statisticamente significativo con la durata della degenza (r=0,35, p<0,001; rho di Spearman 0,38, p<0,001) nonché con le scale di disabilità sia al momento dell’ingresso che in quello della dimissione.
Considerando il miglioramento medio giornaliero della FIM (efficacia della riabilitazione), questo era risultato essere 0,55 punti/giorno (±0,68), con una mediana di 0,38 (-0,22÷4,67).
Tale efficacia della riabilitazione mostra una correlazione negativa con l’età (r=-0,22, p=0,016), ma non con l’albuminemia (r=0,0017, p=0,49).
Valutando l’importanza clinica del catetere vescicale a permanenza, si è osservato come la presenza di quest’ultimo si accompagnasse in media ad una degenza più protratta (41 contro 25 giorni, p<0,001 al test-“t” a due code), ad un livello più elevato di globuli bianchi (8700 contro 7400, p=0,025, “t”-test a due code), ad un livello più basso di emoglobina (12,3 contro 13,2, p=0,008, “t”-test a due code).
Dove la presenza di catetere vescicale a permanenza rappresenta un vero spartiacque è nel campo delle scale di disabilità.
Il BI all’ingresso era in media di 24 nei pazienti senza catetere contro 3 nell’altro gruppo (p<0,0001, Mann Whitney a due code). Il MMS mostrava una media di 24 a 18 (p=0,0001, Mann Whitney a due code). La FS era più bassa (mediana 8,5 contro 11,5, p=0,005, Mann Whitney a due code).
Tali differenze si sono mantenute al momento della dimissione.
Per quanto riguarda la FIM all’ingresso, questa si è dimostrata estremamente sensibile a questo aspetto e tale quadro si è mantenuto alla dimissione.
Una volta confermata l’importanza prognostica negativa della gravità iniziale della disabilità, dell’età, dello stato di nutrizione e della presenza del catetere vescicale a permanenza, appare non solo opportuno, ma anche doveroso concentrare i propri sforzi su una gestione più corretta della disfunzione minzionale che preveda la rimozione del catetere a dimora, avendo una maggior attenzione nel programma dietetico attenuato nella nostra casistica la rilevanza prognostica dell’ipoalbuminemia.